Angri - Covid 19. SINCERITÀ DEI CONTENDENTI E LIMITI DELLA RAPPRESENTAZIONE

L’esercizio del potere nei giorni del Coronavirus, tra insidie e opportunità

La gestione dell’emergenza epidemiologica mal si concilia con la ricerca del consenso elettorale. In una comunità dove il più sano ha la rogna, la possibilità di inciampare su comportamenti inopportuni è dietro l’angolo. In un batter di ciglia passi da equilibrato e responsabile a idiota inadeguato. Le dichiarazioni dovrebbero essere improntate alla cautela e difesa della salute pubblica. Facile a dirsi, meno a farsi. Le lusinghe distraggono mentre le critiche infastidiscono.

La manipolazione della credulità popolare fa gola, soprattutto se la platea è esausta e vulnerabile. La tentazione di usare “canali ufficiali” per assicurarsi interlocutori esclusivi è forte. Almeno quanto il desiderio di scovare l’errore di chi, all’improvviso, senza alcuna tutela, deve decidere. Nel mezzo c’è il buon senso; ci sono le persone perbene, coloro che si sono sacrificati per sé e il prossimo; quanti hanno preferito il silenzio, tollerando gli eccessi degli altri.

La comunicazione istituzionale, a differenza della politica, deve essere vera e completa. Le si chiede di offrire informazioni certe e stare lontana dalla confusione dello scontro politico, dove ormai si afferma tutto e il suo contrario. È evidente che, con le elezioni alle porte, si può scivolare dall’una all’altro senza rendersene conto. Così come, con un pizzico di malizia, la credibilità garantita dal ruolo può essere usata per demonizzare gli annunciati futuri candidati.

Di certo, in queste vicende, viene fuori il peggio di ciascuno. Non c’è mascherina che tenga: il cattivo odore incombe. Come le parole al vento. Il modello “De Luca” ha inebriato moltissimi amministratori locali, che si sono esercitati a scimmiottarlo, ridicolizzandosi. È pur vero che le iniziative di alcuni sono assurte alla cronaca televisiva nazionale, perché ritenute intuizioni particolarmente degne di nota. Ma la singolarità non è garanzia di adeguatezza della soluzione.

De Luca è unico. Ha la capacità di mettere insieme ingredienti apparentemente incompatibili e tirarne fuori una pietanza prelibata. Ha dialettica, carattere ed esperienza amministrativa e politica. Può dare del fratacchione a Fazio e tendere la mano a Fontana, cancellandolo. Doti non comuni, non rinvenibili nei sindaci che hanno minacciato il pugno duro durante l’emergenza, per poi limitarsi a portare il conto snervante dei contagiati e a farsi fotografare ai posti di blocco.

La guida di una comunità impone sacrifici, talvolta scelte anche impopolari. L’alternativa è l’esposizione al rischio di persone, spesso spregiudicate, ignare delle insidie che si celano negli spazi di libertà riconosciuti. Abbassare la guardia, con l’emergenza in corso, significa mettere a repentaglio la salute di tutti. A poco valgono gli inviti alla prudenza. Occorre un serio e costante controllo del territorio per monitorare, scongiurare e debellare abitudini scriteriate.

I proclami, riversati sulla folla dai balconi virtuali, celebrano solo l’io. La messa in sicurezza di tutti è garantita dalle azioni di ciascuno: cittadini, sindaci e forze dell’ordine. Chi ha responsabilità di governo deve tenere sotto controllo, più di altri, la coesione della comunità rappresentata, evitando frizioni e lacerazioni, degenerazioni dei rapporti personali e scenari complottisti. Le parole, usate male, sono pericolose, forse anche letali. Vanno scelte con cura.

L’elemento necessario alla selezione è il tipo di messaggio da condividere e far circolare. Se c’è interesse ad affermare i propri successi nell’allestimento delle azioni di contrasto al contagio, si può tranquillamente scrivere che «sono risultati tutti NEGATIVI, i tamponi faringei ai quali sono stati sottoposte le categorie più esposte al contagio: dipendenti comunali; polizia locale; volontari impegnati durante l’emergenza; dipendenti della società partecipata dal comune».

La messa in risalto di «NEGATIVI» è il riconoscimento di un merito. Ma cosa dice veramente il messaggio? Nell’ordine: 1) le categorie più esposte al contagio sono state sottoposte al tampone; 2) tutti i tamponi sono risultati negativi; 3) le categorie sono elencate. Non c’è altro. Cosa si legge? «Tutti i dipendenti comunali, inclusi i vigili, gli spazzini e i volontari delle associazioni, non sono stati contagiati». C’è una differenza, dunque, tra il dichiarato e il compreso.

La distanza tra ciò che è scritto e quel che si capisce non è data dalla capacità di elaborazione del lettore ma dalla determinazione dell’autore del post nell’indurlo in errore. Chi scrive vuole che si capisca un’altra cosa e fa in modo che accada. Quando, poi, piovono le critiche, perché magari si scopre che solo poche persone di quelle categorie sono state sottoposte a tampone, in particolare i soggetti che hanno contatti con utenti e fornitori, precisa, storcendo il naso.

Il danno, in questi casi, assume dimensioni smisurate. Chi scrive afferma che poco più di una decina di persone sono risultate sane. Chi legge apprende che almeno duecento lavorano senza portare in giro il virus e si sente libero di abbassare la guardia quando li incrocia, commettendo un errore che può risultare fatale. Non ha senso dolersi quando viene rilevato l’inganno malcelato. Si sono già compromesse la credibilità delle istituzioni e la serietà cui ci si deve ispirare.

Un sindaco può fare anche di peggio. Come pubblicare un post tipo questo: «Ho sentito Tizio, figlio di Caio, nostro concittadino scomparso a causa di una malattia importante. Tizio mi ha chiesto di smentire la notizia diffusa che il padre fosse deceduto a causa del COVID-19». Per poi aggiungere, il giorno dopo, in una diretta video, che «la causa del decesso è un’altra malattia che ha a che vedere con il Covid solo perché il nostro concittadino è stato infettato in ospedale».

Dunque, Caio è deceduto per problemi diversi dal Covid. Al netto del cordoglio personale, la rilevanza pubblica non c’è. Sarebbe diverso se si affermasse che «Caio ha contratto il virus nella struttura dove era ricoverato. Poiché è l’ennesimo concittadino contagiato in quel nosocomio, mi sono attivato per sollecitare la messa in sicurezza di un presidio diventato centro di diffusione del Covid. Ci si reca in ospedale per curarsi e assistere i propri cari, non per infettarsi».

Se De Luca ha minacciato di fermare le feste di laurea con il lanciafiamme, i sindaci, per emularlo, non possono immaginare di spegnere i focolai con l’estintore. Agire responsabilmente significa mettere in atto azioni coerenti: porre fine agli assembramenti, anche fuori dagli esercizi commerciali; predisporre l’opportuna vigilanza dinamica del territorio, superando gli ormai inutili posti di blocco; verificare e sollecitare l’uso delle mascherine, sanzionando i trasgressori.

Finita la tempesta tutti diventano marinai: è vero. Le reazioni isteriche, però, non aiutano. Se si denuncia la presenza di consiglieri di maggioranza presso il centro dove sono distribuiti i buoni spesa, un sindaco, prima di dare dello sciacallo a colui che ha rilevato la criticità, deve eliminarla e redarguire chi, magari non riflettendo sulle conseguenze di ciò che stava facendo, si è messo nella condizione di essere ripreso. Non può scatenare soltanto una campagna d’odio.

Optare per altre soluzioni, significa aver appreso solo in parte la lezione di De Luca. Il presidente, oltre che per lo scivolone propagandistico delle lettere con cui ha avvisato i beneficiari dei bonus, si è contraddistinto per ulteriori insegnamenti. Dalla concertazione alla determinazione, dalla capacità di tornare sui propri passi alla preoccupazione costante per l’evoluzione della pandemia, evitando polemiche stucchevoli e invettive contro i numerosi avversari politici.

Abbiamo visto carabinieri increduli e integerrimi al cospetto di un pappagallo, droni intercettare podisti solitari in spiagge deserte, panchine ornate con nastri che impedivano la seduta, piazze perimetrate per interdirne l’accesso, soldati armati ai varchi d’ingresso delle nostre città; abbiamo pianto per le bare sui carri e alla notizia inattesa dell’amico scomparso; gioito con e per i guariti. È stata dura ma abbiamo resistito e lo stiamo facendo ancora. Anche se stanchi.

Ma non ne possiamo più delle chiacchiere inutili, della stupidità, dei millantatori, degli imbonitori, dei falsi contestatori, dei ladruncoli di credulità, del gioco delle tre carte sulla pelle della povera gente, di chi si preoccupa della propria poltrona mentre la casa brucia, della beneficenza fotografata; dei cinghialoni che affollano parchi, giardini e montagne; delle scrollate di spalle, delle ripicche, dei troppi “ho fatto” e “senza di me chissà cosa sarebbe successo”.

Occorre voltare pagina, badando a non perdere il segno e a non chiudere il libro. Per dirla come qualche sindaco, «nessuno nasce imparato». Ostinarsi, però, nell’ignorare suggerimenti e novità, è da idioti. È il tempo della sobrietà, del necessario. Del silenzio che si fa riflessione e azione, lontano dagli specchi deformanti degli schermi e delle vetrine. È anche il momento di non disturbare il conducente. Sempre che non metta a repentaglio la vita degli altri, distraendosi.

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