KAKKIENTRUPPEN. Gli italiani, con Figliuolo, si ricordano di essere patrioti. E della naia. Dopo averla maledetta. Ma non sanno nulla del 25 aprile.

Draghi ha sostituito Arcuri con Figliuolo: un generale degli alpini; che corre su e giù per la penisola, in mimetica, con la penna al vento. Michela Murgia si è detta preoccupata. Ciò è bastato per far insorgere il popolo delle divise e inondare facebook di foto a sostegno del militare, salvatore e servitore della Patria. Gli italiani hanno aperto il baule dei ricordi e si sono mostrati. Fieri e orgogliosi per aver assolto l’obbligo di leva. Come se avessero potuto scegliere.

Un ritratto, farlocco, del Belpaese. Quello della cartolina rosa, dei sospiri degli innamorati nelle stazioni ferroviarie e dei fiumi di lacrime che allagavano le camerate. Del manifesto con la cornice tricolore, firmato dal generale Tinti. Delle notti insonni delle mamme. Delle malattie impronunciabili, sui certificati medici dei genitori; delle raccomandazioni politiche, delle preghiere al vescovo. Di Baglioni e Tornerò dei Santo California. Del rinvio per gli universitari.

Era l’Italia dei marescialli. E delle caserme che bruciavano più fondi della sanità. Dove si entrava ragazzini e si usciva uomini. O quasi. Dopo un anno. A qualcuno, prima, è andata peggio: fino alla metà degli anni settanta erano previsti 15 mesi per l’esercito e 20 per la marina. Un vero disastro, in quel periodo, per numerose famiglie, cui venivano sottratte braccia e risorse. Per molti è stata solo la “naia”. Da evitare come la peste. Ma in pochi sembrano ricordarlo. Ora.

La dichiarazione della Murgia ha trasformato milioni di bamboccioni in partigiani. Almeno per qualche settimana. Anche se l’unica resistenza di cui hanno memoria è quella dello scaldino elettrico. Se fosse altrimenti, non si capirebbero le polemiche sul 25 aprile. E le visualizzazioni di «rivedo ancora il treno allontanarsi e tu che asciughi quella lacrima. Come è possibile un anno senza te? Il tempo vola, aspettami»: il pericolo erano le corna, non le forze armate straniere.

Una pillola da mandare giù, con i musicarelli di Gianni Morandi. Poi sono cambiati i gusti e siamo caduti sotto i colpi delle commedie sexy. Per non pensare ai 365 giorni all’alba e alla stecca: il conto alla rovescia fino al congedo. A memoria d’uomo, con o senza divisa, non si ricorda un solo militare in lacrime alla fine dell’esperienza. Ritenuta dai più una reclusione. Quasi un retaggio fascista. Tanto da essere cancellato. Anche se ha unito l’Italia. Come la televisione.

Il servizio militare ha messo insieme ragazzi che provenivano da ceti sociali diversi. Costretti a fare gruppo. Studenti e lavoratori a nero, spacciatori e catechisti, parcheggiatori abusivi e figli di papà. Tutti in fila alla mensa e in piedi per l’alzabandiera. Mammoni che a casa non muovevano un dito, cui venivano rimboccate le coperte, hanno imparato a fare il letto, a lavare le latrine e a ricevere ordini. C’è chi ha colto l’occasione per patentarsi e chi si è imboscato.

La solidarietà a Figliuolo ce li ha riproposti. Nella versione Rambo. Mentre imbracciano fucili o tirano fuori la testa dai carri armati. In posa, per mamma e papà, i nonni e le fidanzate. Dopo aver asciugato le lacrime. Ma questo non si dice. Perché hanno servito la patria: con il trascorrere degli anni, si sono convinti di averlo fatto con piacere, tanto da esserne ancora contenti. Se le mogli potessero parlare racconterebbero di telefonate interminabili e uomini fragili.

Il generale, intanto, si sottrae alle domande letali dei cronisti, evitando il contraddittorio come le pallottole nemiche; e passa in rassegna gli operatori dei centri vaccinali, somministrando garanzie e fiducia. Porta in giro mostrine e onorificenze: come un appendino, più che un alpino. Mettendoci la faccia e rimettendoci in vesciche ai piedi; che, per quanto abituati, sull’asfalto preferirebbero i mocassini agli anfibi. Una rappresentazione troppo teatrale della gestione.

Guai a ricordargli che non è in trincea. Che Polignano a mare non è nei Balcani. Che il Covid arretra con il vaccino, non con le chiacchiere. Come sa bene Arcuri: il malcapitato predecessore; che, da recluta, ha assolto l’obbligo di levare molti politici dai casini, gestendo l’emergenza nei giorni in cui non c’era uno che sapesse cosa fare; lo stesso che, per aver deciso, è stato flagellato e rimosso, secondo alcuni, con disonore. Malgrado abbia pulito le latrine a mani nude.

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