POLITICHE 2022. DA LETTA A MELONI SI CELEBRA L’ITALIA DEI FRATELLI. DESTRA E SINISTRA CALPESTATE DALLE OSCENITÀ DI INTELLETTUALI FRACICHI E PROLETARI IMBORGHESITI.
«La scena sembra tratta da Gomorra»: lo ha scritto Alessandro Sallusti; e lo pensano in tanti. La rissa tra Albino Ruberti e i fratelli De Angelis, uno presente l’altro evocato, ha mostrato la cafonaggine dei democratici post comunisti. Ruberti, nella capitale, è una sorta di Gianni Letta dei poveri di idee, valori e soluzioni. Poco longa manus e molto dita di Antonio Casagrande in Così parlò Bellavista. I due De Angelis, nel frusinate, seminano candidati e raccolgono eletti.
La Ciociaria è terra fertile. Lo è stata anche per Andreotti: grato, ricambiò,
trasformando le preferenze in posti di lavoro. Un miracolo democristiano, stile
Nozze di Cana. Lo sanno bene gli automobilisti che dall’autostrada contano le fabbriche. Allora c’erano anche i
Comunisti ma erano diversi. La loro forza era il “noi”, ragionavano insieme,
per gli altri. Oggi ciascuno pensa a sé e non va oltre l’io. Si segnalano
pochissime eccezioni: giusto i parenti stretti e le mogli.
dalla stessa parte: quella sbagliata; al netto del fatto che dovrebbero bivaccare a destra della peggiore destra. Non c’è la possibilità di solidarizzare con alcuno. Come in Gomorra. Parafrasando Saviano si potrebbe affermare che la rissa «non racconta il partito democratico alla politica ma al contrario racconta la politica attraverso il partito democratico»: perché altrove cambia poco.
Dal Lazio alla Campania, dal feudo dei fratelli De Angelis a quello di Vincenzo De Luca, se vuoi essere votato
devi bussare alla porta del potere locale. E sperare che ti aprano. A meno che
uno scandalo, magari ad orologeria, non la butti giù. Cambiando partito e
coalizione le condizioni non mutano: è chiaro. Certo, fa male ma negarlo non
aiuta. Colpisce la pessima e strumentale considerazione del prossimo; non tanto
le parolacce e le minacce, cui non ci si dovrebbe abituare.
«È stato un banale diverbio tra romanisti e laziali» offende e preoccupa più di «si deve inginocchiare e chiedere scusa. Li ammazzo». È una presa per i fondelli. Quanto la candida affermazione, racchiusa tra due parentesi, a pagina 12, del Corriere della Sera del 20 agosto: le immagini dell’alterco «in città circolavano già da un mese». I fatti risalgono ai primi di giugno, il video è rimbalzato da un telefonino all’altro fin da subito e lo scoop de Il Foglio è del 19 agosto.
In due mesi e mezzo, Enrico Letta, i giornalisti, le forze dell’ordine e la Procura di
Frosinone non si sono accorti di nulla, non hanno avuto una soffiata, non hanno
raccolto un’indiscrezione. Se fosse vero dovrebbero fare armi e bagagli e sloggiare,
perché sono inadeguati, più di Ruberti
e i De Angelis. Intanto, i
“facinorosi” si sono fatti da parte, con dimissioni e rinuncia alla
candidatura. Resteranno nell’ombra; dove, a pensarci bene, hanno dato prova di
muoversi meglio.
Il commento di Letta
dopo i passi indietro: «Scelte giuste e
doverose». Gualtieri su Ruberti, suo capo di gabinetto, ha
fatto addirittura peggio, con più parole. «In
attesa che venga chiarita l’effettiva dinamica dei fatti» ne ha rimarcato «la straordinaria qualità del lavoro svolto»,
ritenendo le frasi pronunciate «gravi e
non appropriate per chi ricopre un incarico tanto delicato». In memoria di Berlinguer e del suo insegnamento nel
porre la “Questione morale”. Era il 1980.
Dall’intervista rilasciata a Scalfari e pubblicata da Repubblica
il 28 luglio 1981: «I partiti di oggi
sono soprattutto macchine di potere e di clientela. Gestiscono interessi,
talvolta anche loschi. Non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne
promuovono la maturazione civile e l’iniziativa. Sono piuttosto federazioni di
correnti, di camarille, ciascuna con dei boss e dei sottoboss. Hanno occupato
lo Stato e le sue istituzioni. Tutto è già lottizzato e spartito».
Letta
in comune con Berlinguer ha solo il
nome. Gualtieri neanche quello. Scalfari è passato a miglior vita.
Mentre il problema è ancora lì, sotto gli occhi di tutti, quarant’anni dopo,
immortalato nel video dello scandalo, con la proposta del sistema Gomorra nell’assegnazione delle piazze
di spaccio. Il paradosso è che gli interpreti ricordano sì la cafonaggine e la
determinazione di donna Chanel e Gennaro Savastano ma sono goffi e
sgraziati come I Gomorroidi di Made in Sud.
Letta
e Gualtieri hanno nascosto la
polvere sotto il tappetto. Come avrebbero fatto i dirigenti nazionali degli altri
partiti, da Meloni a Conte, passando per Berlusconi e Renzi. Come preferiva il professore
Caprigno, preside del Ginnasio
Giambattista Vico di Nocera Inferiore, tra i protagonisti della scena del
Cineforum in C’eravamo tanto amati,
citata da Saviano in un articolo
pubblicato da Repubblica il 10 giugno 2014, per spiegare perché in Gomorra ci sono solo i cattivi.
Caprigno,
dopo la proiezione di Ladri di
Biciclette, si azzuffa con Nicola
Palumbo, insegnante presso lo stesso Ginnasio e interpretato da Stefano Satta Flores. Non gradisce il
neorealismo. «Questi stracci e questi cessi ci diffamano di fronte al mondo».
Cita Andreotti senza nominarlo. «Di questi filmacci bene ha detto un giovane
cattolico di grande avvenire vicino a De
Gasperi: i panni sporchi si lavano in famiglia»! I notabili del paese
applaudono, condividendone lo sdegno.
Nicola,
organizzatore dell’evento, malgrado abbia famiglia, non gliele manda a dire,
pur sapendo di rischiare la cattedra. Il farmacista e il sindaco si schierano
con il preside e gli puntano l’indice contro: «fomenta l’odio sociale e offende le tradizioni morali di Nocera
Inferiore». Nicola, che vuole cambiare il mondo ma finirà con lasciare
moglie, figlio, paese e carriera, sbotta: «Nocera
è inferiore perché ha dato i natali a individui ignoranti e reazionari come voi
tre»!
Sostituendo il luogo fisico con il politico, si può
urlare che i partiti sono regrediti perché hanno visto i natali di individui
ignoranti e reazionari come i tre che ne decidono le sorti. Sono trascorsi
settant’anni dal dopoguerra ma è ancora il tempo del preside, del farmacista e
del sindaco, impegnati a tessere trame, più o meno occulte, lontani, per dirla
con Berlinguer, «dalle esigenze e dai bisogni umani
emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune».
«Bisogna
seminare un carattere per raccogliere un destino». Lo sosteneva Romano Battaglia in “Alle porte della vita”, romanzo del
1996. Se è vero che da Letta e Gualtieri non ti aspetti scatti
d’orgoglio o che caccino a pedate qualcuno, non si comprende come abbiano
convissuto con le intemperanze di Ruberti
e dei De Angelis. L’incompatibilità
è evidente. Di certo li teneva insieme qualcosa. Magari inconfessabile e di cui
vergognarsi; che il povero Nicola non avrebbe digerito.
La politica deve interrogarsi, tormentarsi, fare
bilanci. Come il protagonista del romanzo di Battaglia. Scegliere, gridare il
proprio disappunto, come Nicola dopo il cineforum di Nocera Inferiore.
Riprendere la questione morale posta da Berlinguer. Senza perdere bussola e dignità,
rincorrendo le competizioni elettorali. Recuperando l’iniziale maiuscola, con i
partiti considerati sostantivi e non participio passato di chi fugge dopo aver
rubato democrazia e rappresentatività.
La riduzione dei parlamentari ha costretto i dirigenti
nazionali a selezionare con cura i candidati. Per evitare il rischio di
ritrovarsi eletti non gestibili o imbarazzanti. Da Frosinone a Nocera Inferiore
la parola d’ordine nei partiti è stata “spazio solo ai fedelissimi”, anche a
costo di rimetterci la faccia e sacrificare qualche voto. A conti fatti Letta,
con lo scoop de Il Foglio, si è liberato in un colpo solo dei fratelli De
Angelis e Ruberti, senza sporcarsi le mani.
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