ANGRI. Confermati i responsabili degli uffici comunali. Nonostante abbiano chiuso gli occhi sugli incassi spariti. Intanto la maggioranza si azzuffa
Se le famiglie da cui è stato adottato non mettono bocca sulle sue scelte, quelle da cui proviene gli danno più di un grattacapo. Almeno due nomine non sono piaciute ai cinque consiglieri del gruppo Cosimo Ferraioli sindaco. Una formazione eterogenea, dove si contano quattro fazioni, che faticano a raggiungere l’intesa sulle proposte da porre all’attenzione del primo cittadino. Solo la coppia Montella – Falcone, 577 voti in due, concorda il da farsi e parla con una sola voce.
Ciascuno degli altri tre consiglieri, Ciro Calabrese e le due D’Antuono, Giuseppina e Diana, diffida degli altri, pure della coppia. Tutti insieme hanno inghiottito il rospo della nomina degli assessori, Ferraioli e Malafronte, pescati tra i non eletti della lista e invitati in giunta direttamente dal sindaco, dopo settimane di trattative inconcludenti tra i cinque, chiamati a indicare due nomi. Alla fine, si sono ritrovati tutti con un pugno di mosche. E si sono innervositi.
Le crepe della maggioranza si sono manifestate solo in questo gruppo. Per il resto, gli accordi erano chiari e sono stati rispettati. La stessa nomina dell’assessore Manzo e la prosecuzione della sua esperienza in giunta, almeno per il prossimo anno e mezzo, non sono mai state messe in discussione, visto il contributo che ha assicurato al secondo turno elettorale. I nodi da sciogliere si trovano soltanto tra le poche rivendicazioni dei consiglieri di Cosimo Ferraioli sindaco.
I cinque non pretendono granché. La coppia, per ora, si accontenterebbe di una rappresentanza in giunta. Come Giuseppina D’Antuono, alla ricerca di una sedia per il candidato, non eletto, cui era abbinata in campagna elettorale: Salvatore Mercurio, rimasto fuori dal consiglio, per una manciata di voti. Il giovanotto è carabiniere. La nomina gli consentirebbe di fare a meno della divisa e restare in città. Il precedente: il finanziere Giacomo Sorrentino, con l’esecutivo Mauri.
Cinque consiglieri su quindici non sono proprio una sciocchezza, anche per il sindaco. Soprattutto se sono d’accordo sul tenergli il muso. Inoltre, la serietà e l’affidabilità delle famiglie Sorrentino e Mainardi non possono essere date per trasmissibili, quando c’è da fare i conti con eventuali capricci dei consiglieri ospitati nelle loro liste ma non vincolati da rapporti di parentela o militanza. In questo scenario, arido e desolante, il sindaco ha designato i capisettore.
Il primo cittadino ha sfidato la sorte. Ha barcollato ma si è ripreso subito: gli è andata bene. C’è, però, chi si aspettava di più, nell’interesse del paese, ritenendo il momento propizio a una riorganizzazione dei settori. Nell’assegnare le nove poltrone non è che si dovesse scegliere tra Marcello Mastroianni e Antonio Zequila. La capacità di interpretazione del ruolo è più o meno uguale per tutti ed è pari a quella di Alvaro Vitali. Il sindaco, poi, non è Federico Fellini.
È evidente che, escludendo la possibilità di dire «ragazzi, posso fare a meno di voi: tanto, peggio di così non può andare», il sindaco doveva pur nominare qualcuno. Magari l’architetto Lorenzo Fedullo, assegnandogli il Cimitero, il Patrimonio e l’Ufficio Casa. Non per fargli un favore o regalargli quasi diecimila euro lordi all’anno: per alleggerire altri settori e mettere a frutto l’esperienza maturata nei Comuni in cui ha lavorato. Invece, ha deciso di tenerlo in panchina.
L’alternativa: cavarsi tutti i denti e scegliere un impianto fisso. I costi, però, sono proibitivi. Almeno fino all’approvazione del bilancio. La soluzione, drastica, è imposta dalle circostanze. Da sei mesi non si riscuotono i proventi dei parcheggi: 150.000 euro, circa; mica bruscolini. Del recupero degli ammanchi registrati al cimitero, nel 2016, quasi 40.000 euro, non si ha notizia. Lo stesso vale per gli incassi scomparsi, nel 2019, all’Anagrafe: almeno altri 8.000 euro.
Il problema non sono i dipendenti con la paga da caporale e i vizi da generale ma i capisettore, tenuti a controllarli; l’organismo di valutazione, che dovrebbe rilevarne l’inadeguatezza nell’allestire le azioni di contrasto al malaffare; e il segretario comunale, che non li richiama all’ordine, prima che la Corte dei Conti metta le mani nelle loro tasche. Per questo, la nomina dei nove vertici non è un’emergenza superata dal sindaco ma un’opportunità sprecata dalla politica.
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