ANGRI. I CONTAGIATI, DALLO SCORSO MARZO, SONO OLTRE 1000.

LA PAURA DELLA PANDEMIA, TRA POLITICI PAVONEGGIATI, PRUDENZA PROCLAMATA, PREGHIERE PROPIZIATORIE, PIGRIZIA PRATICATA E PRIORITÀ CHE PREMIANO I PRIVATI.

Ce la siamo cavati. Tra lutti e bestemmie la pandemia ha toccato le quattro cifre. C’è poco da stare sereni. Volendo esser seri, bisogna ringraziare il caso e il Padreterno; non altri. Sono venuti meno tutti. A dispetto di ciò che raccontano. Gli angresi si sono scoperti soli e fragili. Quanto e più di chi avrebbe dovuto tutelarli. La politica si è distratta, l’amministrazione non è pervenuta, le autorità sanitarie hanno spento i telefoni, le forze dell’ordine i lampeggianti.

Un contagiato ogni dodici famiglie può rappresentare un dato confortante. Come il numero dei decessi, al netto delle chiacchiere a vuoto su chi è morto a causa del Covid e chi, invece, con. Poteva andare peggio. Siamo passati dal “lavatevi le mani” a “me ne lavo le mani”. Abbiamo collezionato centinaia di fotografie e bollettini; ma non una risposta ai familiari dei positivi: persone dimenticate in casa, senza alcun sostegno e per alcuni indisciplinati, il doveroso controllo.

Eppure chi si lamenta rischia di far peccato. Perché le critiche del giorno dopo sono fastidiose, come il ronzio delle zanzare nelle notti d’estate. E quelle della vigilia alimentano la confusione e l’intolleranza, allontanando gli interlocutori, più del timore del virus. La responsabilità della gestione dell’emergenza è una brutta gatta da pelare. Le istituzioni, però, non possono scegliere di sottrarsi. O di agitarsi, solo per mostrare una vivace apprensione per l’accaduto.

La macchina comunale, pure volenterosa, si è incartata, per carenza di personale. Supportata dai volontari, ha pagato lo scotto di operatori che non avevano alcuna conoscenza del territorio e delle criticità in cui ancora si dimenano le famiglie angresi. Gli aiuti donati sono stati distribuiti con la logica del liberiamocene quanto prima, per fare spazio ai nuovi. La solidarietà si è persa in mille rivoli, lontani, troppo spesso, dalle necessità cui avrebbero dovuto accedere.

Le mascherine hanno coperto espressioni e stati d’animo. Qualcuno le ha usate per difendersi; pochi per proteggere gli altri. In troppi per coprire le rughe. Siamo passati dalla divisione in lettere per fare la spesa alla distinzione tra negazionisti e creduloni, complottisti e fessacchiotti. Celebrando, finanche, successi effimeri: con i bollettini quotidiani che segnalavano il rilevante numero dei guariti e alcun contagiato di giornata. Ci siamo persi per strada. Purtroppo.

Sono scomparsi i vigili urbani e i carabinieri. Non le ambulanze; i mendicanti e gli ambulanti che dalla stazione ferroviaria invadono il paese. Abbiamo dislocato, da Prolungamento Corso Italia al seminterrato del Comune, la postazione per i tamponi. E come sanno bene quanti si sottopongono al controllo, senza porci il problema di liberare la via di accesso dalle auto dei dipendenti e degli assessori; esercitandoci nella ricerca quotidiana della chiave del cancello di uscita.

Abbiamo abbassato la guardia. Malgrado gli inviti del sindaco. Preferendo la tolleranza al rigore, la dissuasione alla repressione. Come se fossimo in Svizzera. Tuttavia questo è il paese dove, per esempio, se su dieci bar tre sono chiusi per la positività dei titolari, degli altri sette, solo quattro rispettano le prescrizioni, chiudendo quando devono e assicurando l’asporto; mentre i restanti tre colgono l’occasione per recuperare clientela. Senza pudore. Siamo così. Tutti.

Tra il calvario di pochi e le preoccupazioni di tanti, è andata meglio di quanto temessimo. Non è detto, però, che continui. Occorre riprendere la retta via, ripristinando la serietà utile al contenimento del virus. Le istituzioni sono chiamate a collaborare. Il sindaco non può affidarsi solo al Padreterno. Anche l’Asl può avere un ruolo. E addirittura lui: organizzando una costante vigilanza del territorio. Le elezioni sono lontane. Prima delle privatizzazioni c’è la salute.

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