IL DECLINO DEI SERVIZI SEGRETI - HANNO PAURA DEL CIUFFO DI ORSINI. UNA VOLTA TEMEVANO LE BOMBE DEI TERRORISTI.

 Gli igienici ce li invidiano. I segreti lasciano a desiderare; il pensiero è lo stesso da anni: speriamo se la cavino. Spesso qualcosa sembra andare storto o non come gli osservatori si attendono. Gli italiani quando agiscono nell’ombra danno l’idea di muoversi bendati, nonostante sappiano inventarsi e offrire servizi come pochi altri. Sono quelli di Totòtruffa 62 e del Lodo Moro. Mica un popolo qualsiasi. Gente che sa il fatto suo e non teme ostacoli. Checché se ne racconti.

Non c’è nefandezza nazionale di cui non si incolpino i servizi segreti. Se Darwin leggesse i giornali italiani darebbe alle fiamme e non alle stampe la teoria sull’evoluzione delle specie. È pur vero che siamo passati da Carlo Sforza, Alcide De Gasperi e Aldo Moro a Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano e Marina Sereni. Ma siamo ancora quelli che vendono Lukaku a peso d’oro ai russi d’oltremanica e lo riprendono per una manciata di spiccioli. Se non è un servizio questo cosa lo è?

Il problema sono i segreti non i servizi. Anzi: la organizzazione “Servizi segreti”. La rappresentazione delle abilità degli 007 ricorda il desiderio di Troisi di essere figlio di Andreotti: «È ingenuo, buono. Mio padre, invece, è in malafede: portai una ragazza a casa, di nascosto; subito scoprì un capello biondo e mi disse che non lo dovevo fare più. Il figlio di Andreotti vive da due anni con una brasiliana, due svedesi e una tedesca e il padre non se ne è ancora accorto».

L’inettitudine dei Servizi segreti italiani non è credibile. Come l’ingenuità del divo Giulio. Malgrado “intelligence” faccia sorridere, non sono dei brocchi. Almeno non tutti. Al pari dei colleghi americani e inglesi sono fallopratici: sanno cosa fare ma lasciano che se ne occupino altri. Una miscela esplosiva di pigrizia e timidezza. Però, poi, il giorno dopo, i quotidiani aprono con i dettagli della delega. La concretezza è sempre garantita. La opportuna riservatezza meno.

Lungo lo stivale in pochi sanno tenere un cece in bocca. Tra soffiate, spifferi, sussurri, confidenze, indiscrezioni, pizzini e veline, ciò che accadrà domani è noto già oggi; figurarsi quello che è successo ieri. I profili sono diversi. Il vanesio: è giusto che si sappia che ho la notizia; è una questione di reputazione. Il prudente: è bene che condivida l’informazione passando il cerino. Il sabotatore: se viene fuori, ci ripensano. Il depistatore: così si dedicano ad altro.

L’Italia è la terra del non detto quando si dovrebbe. L’ignoto non ha cittadinanza. Si sceglie cosa riferire e quando. Ovunque. Anche in casa. È il paese del “non me ne sono accorto; c’ero ma mi sono distratto; ah, questo significava, mica lo avevo capito”: frasi che sono patrimonio comune, rinvenibili nel bagaglio di scuse dell’usciere comunale e del capo di gabinetto ministeriale e ancora più su. L’italiano è fatto così: «nulla so e niente ho visto», se c’è da render conto.

La “discrezione responsabile” fa crescere la folta schiera dei complottisti. Fino al punto che ciò che è sotto gli occhi di tutti diventa misterioso, occulto, impermeabile alla verità e sovversivo. Anche i magistrati ci mettono lo zampino, considerato che non riescono a cavare un ragno dal buco. C’è chi padroneggia queste dinamiche, prendendo in giro quanti – non sono molti – vanno alla ricerca di capri espiatori da citare nelle proprie analisi storiche, per far bella figura.

Può sembrare strano ma a Roma badano al particolare. Totòtruffa 62 uscì nelle sale nel 1961. Correva il centenario dell’Unità d’Italia. La circostanza impose la modifica del titolo: il 61 dovette cedere il passo al 62, per scongiurare accostamenti sgradevoli. Mica sorbole. È inverosimile che tanta sensibilità e lungimiranza, dopo 61 anni, siano declinate fino al punto di suggerire l’allontanamento di Alessandro Orsini dai programmi televisivi, ritenendolo al soldo del nemico.

Al Corriere della Sera hanno deciso di mostrarsi con l’anello al naso. Come TotòTaranto: per porgere un’imbasciata remunerativa. La pubblicazione delle foto dei filoputiniani può avere solo due effetti. Uno è lassativo. L’altro è intimidatorio; non per i poveri diavoli esposti. Sulla graticola c’è il vertice dei “Servizi”: la mai citata Elisabetta Belloni, ferita dal fuoco amico di chi ne ha tessuto le lodi, quando era tra i probabili, autorevoli, successori di Mattarella.

Con la foto segnaletica di Orsini siamo passati dalla Notte della Repubblica alla Repubblica della notte: quella in cui non si scrive la storia rileggendo la cronaca ma ci si interroga sul riporto del professore, come vecchie puttane che sfogliano i settimanali di inciuci sotto i lampioni in attesa dei clienti. Zavoli si rivolterebbe nella tomba, anche se il cielo è lo stesso e i servizi italiani si affidano ancora alle stelle della bandiera americana per scegliere la strada.

C’è stato un tempo in cui il motto prima gli italiani ispirava l’azione di politici e 007
fedeli alla Repubblica. Per tenere indenni cittadini e Stato ed evitare che la penisola si trasformasse in un’area di scontro di terroristi e servizi segreti stranieri. Poche vittime e approvvigionamento energetico per qualche lasciapassare. Lo chiamarono Lodo Moro. Apprezzato in Medio Oriente, non era gradito oltreoceano. In quel tempo, gli italiani sedevano ai tavoli, non vi servivano.

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