ANGRI. La misura eroica delle parole e dei segni, tra cronaca cittadina, comunicazione istituzionale e propaganda politica

Chi ha sale in zucca, quando comunica, se ne deve servire. Sempre che non lo consideri alla stregua della forfora, custodendolo come una reliquia. Usato con diligenza non fa male: aiuta a manifestarsi correttamente. Soprattutto quando si tiene conto dello stato, anche d’animo, del prossimo. Il segreto è nella giusta misura. Il pericolo è passare per furfante, ipocrita o scemo. Per evitarlo è bene provare prima di esporsi, verificando che non si sia andati oltre le intenzioni.

L’ascolto della lettura di quanto si è scritto aiuta la comprensione sia della rappresentazione del proprio pensiero sia dell’interpretazione altrui. Ascoltandosi può accadere di detestarsi o compiacersi. Non sono pochi coloro che pensano una cosa e ne scrivono un’altra. Magari senza rendersene conto: vedono ciò che avevano in testa e non quello che c’è sul foglio, dove, a volte, la punteggiatura si confonde con la polvere precipitata nella fase di ricerca delle idee geniali.

A prescindere dalla qualità dell’inchiostro e dalla grandezza della penna, il messaggio deve cogliere nel segno, raggiungendo la platea e porgendole quanto è sospeso tra le orecchie dell’autore, al netto del cerume e dei ciuffi di peli. Altrimenti si consuma uno strappo tra il desiderio e il risultato: sgradevole alla vista, come quelli che porta via lo scroscio dello sciacquone, di cui la maggioranza meloniana angrese, con tinte leghiste, sta collezionando bancali di rotoli.

Il sindaco Cosimo Ferraioli è un uomo mite, perbene, accomodante. Nato e cresciuto a sinistra, nei giorni in cui i partiti erano ancora saldamente fissati alle ideologie, per essere fedele a se stesso è rimasto immobile, ritrovandosi a destra quando il mondo politico ha cominciato a girargli intorno, facendogli perdere la bussola. È andato a letto da comunista e si è svegliato leghista, come i padani agli inizi degli anni novanta. Abituato a delegare spesso si mangia le mani.

Quando c’è da metterci la faccia non si tira indietro. Coprendo i misfatti dei collaboratori. Non sempre, però, riesce a rimediare. Nell’ultimo anno gli ha detto bene con le dirette serali sui numeri del contagio. È inciampato, invece, con i comunicati stampa. Lo staff che lo assiste, preparandoli e curandone la pubblicazione sulle pagine social, non ne ha “azzeccato” uno, neanche per sbaglio. Il profilo caratteriale che ne emerge non è il suo. A meno che non abbia due facce.

È caduto rovinosamente sulla vicenda del murale apparso in via Generale Niglio. Trascinando con sé tutti. Sul dolore non si specula, cercando consensi. Lui lo sa bene. Chi gli ha scritto il commento no. L’articolo di Roberta Salzano ha scatenato un putiferio, su cui non è necessario intrattenersi. Non si può ignorare, però, il tentativo del consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli di marciarci, accostando Angri ai quartieri Spagnoli e gli angresi a criminali incalliti.

Il primo cittadino avrebbe dovuto cantargliene quattro. Tanto per chiarirgli che a tutto c’è un limite. Ma prima sarebbe stato opportuno parlare con i ragazzi che hanno realizzato l’opera, per spiegargli che non era un problema di autorizzazioni ma di rispetto della memoria. Con il commento, ha dato l’idea di ridurre la vicenda a una questione di carte bollate e timbri. A vent’anni non ci si interroga sulle conseguenze, si agisce e basta. È l’età dell’impeto non del giudizio.

I ragazzi di oggi non possono sapere che, alla fine degli anni novanta e per il decennio che seguì, Angri ha vissuto una stagione terribile, registrando la prematura scomparsa di decine di adolescenti e bambini, sottratti alla vita, alle famiglie e alla comunità; lutti che si sono riproposti, di recente, con una inquietante frequenza. Non sono tenuti ad informarsi prima. Per questo ci sono gli adulti: pure il sindaco e chi scrive per lui, se hanno buon senso e lo condividono.

In villa Comunale, alla destra dell’ingresso principale, c’è una stele in memoria degli angeli: «Al di sopra di noi ma sempre con noi. A Enzo e a tutti i giovani che Vivono nella luce di Dio». L’amministrazione, chiamata a decidere, suggerì ai promotori dell’iniziativa, amici del ragazzo scomparso, una formula che non calpestasse il dolore, intenso e pulsante come il loro, di altre famiglie: consapevole che le bare bianche sono uguali ed esigono rispetto, non discriminazioni.

Non eravamo e non siamo la terra di Gomorra. Siamo solo un paese che, purtroppo, continua a versare lacrime per piccoli angeli e ogni tanto fa una fesseria per troppo amore. E che, quando tenta di aggiustare il tiro, fa danni. Il sindaco Ferraioli farebbe bene a riappropriarsi del proprio profilo, scrivendo quello che pensa, non ciò che conviene agli amici. Tra quattro anni non si potrà ricandidare. Può decidere, senza preoccuparsi dei voti, mettendoci la faccia: una, la sua.

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