DAI FASCI AI VILLAGE PEOPLE. I GIORNI NERI DEL GOVERNO MELONI E DEL CENTRO SINISTRA

«La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve». Parola di Mario Ruoppolo, postino interpretato da Massimo Troisi. Sarebbero bastate poche battute per liquidare i pericoli del decreto anti rave. Invece, se ne è parlato per settimane. Da una parte quelli che lo hanno scritto e subito si sono detti pronti a modificarlo; dall’altra quelli che lo hanno letto e subito si son detti che era necessario cambiarlo. Nel mezzo, fiumi di parole inutili, comprese quelle della norma.

Il problema: qualcuno ha pensato una cosa e ne ha scritta un’altra. Capita, soprattutto quando si ha fretta e si vuol fare bella figura. Il Ministro dell’Interno, entusiasta per la tempestiva risposta degli Uffici incaricati di preparare il provvedimento, preso dalla frenesia, non lo ha letto con attenzione; e nel farsi la croce si è cecato gli occhi. I dirigenti del PD, che fino a marzo non hanno altro da fare, se non litigare tra loro, appresa la notizia, si sono indignati.

La Presidente del Consiglio ha storto il naso ma ha mandato giù il boccone. Non prima di aver fatto gli scongiuri per allontanare il pericolo delle possibili applicazioni improprie del decreto. Non avendo, in quanto donna, gli attributi che anche gli avversari le riconoscono, ha grattato la schiena ai due Matteo che le hanno rubato la scena: il Ministro Piantedosi e il vicepremier Salvini; senza che i due se ne accorgessero, dolcemente, come si fa quando si coccolano i gatti.

Intanto, tra chi pensava, chi scriveva, chi leggeva e chi si chiedeva gli altri che stessero facendo di così importante da essere tanto impegnati, il Prefetto di Modena, armato solo di megafono e buon senso, convinceva i ragazzi a liberare l’area e porre fine al teatrino. In poche ore, per dirla come il commissario Montalbano, li ha persuasi a sbaraccare e ripulire. Giusto il tempo di smaltire la sbornia, riporre pasticche e arrosticini e farsi strada tra il fumo delle canne.

La vicenda ha assunto dimensioni tali che anche i sindacati hanno ritenuto opportuno intervenire, rappresentando le proprie preoccupazioni al Ministro dell’Interno. Lo spettro della repressione e delle condanne per gli organizzatori dei cortei e delle occupazioni delle fabbriche gli ha tolto il sonno. Più del lavoro nero, del salario minimo, delle nefandezze che si consumano nelle cooperative da Roma in giù, della sicurezza sui luoghi di lavoro e dei clandestini schiavizzati.

Il popolo della sinistra ha levato gli scudi. Se l’è presa con i sinistri del popolo: i vertici del partito. Quelli che tra una comparsata televisiva e l’altra, ogni fine legislatura trovano il tempo di assicurarsi un collegio elettorale blindato; pensando, a volte, anche ai congiunti. Non con la Meloni e la destra. In fondo, pur scambiando fischi per fiaschi, hanno fatto ciò per cui li si teme da sempre. È la loro natura: figlio di gatto acchiappa topi. C’è poco da stupirsi.

Mentre Piantedosi rincorre nelle campagne italiane bamboccioni disinibiti che non si reggono in piedi, gli alleati tremano per le intercettazioni telefoniche. In pratica, nel centro destra di governo, la destra celebra i manganelli e il centro ha paura delle chat di whatsapp. La Giorgia, però, tira dritto; rincorsa dalle emergenze e aprendosi il varco tra la mediocrità dei “camerati” di viaggio: da gestire con cautela e considerata più letale delle critiche delle opposizioni.

Al Quirinale, superata l’euforia per le consultazioni lampo, non si perdono un notiziario. L’esordio della coalizione non è stato dei migliori. Le previsioni sono state disattese. Come lo furono per i governi della scorsa legislatura. L’unta dalle urne rischia di scivolare sull’olio abbronzante, non su quello di ricino. In troppi, tra i suoi, farebbero carte false per un posto al sole, dopo anni di purgatorio. E le prossime elezioni regionali ed europee non seminano serenità.

La deriva fascista accomuna destra e sinistra. Basti pensare alla scena di Ruberti, in quel di Frosinone, zona PD. Quando si arriva a «si devono inginocchia’» si è superato il punto di non ritorno: manca solo la camicia nera. Quella dei nostalgici di Predappio, simil Village People più che Brigate del Duce. Certi personaggi fanno comodo, a tutti. In Totò Diabolicus, il finto attendente del Generale, al commissario che gli dice stizzito «lei si presta», risponde «io ci campo».

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