ANGRI, PIAZZA DON ENRICO SMALDONE. Breve storia triste di 7 fioriere rinnegate. I Carabinieri: sono pericolose, vanno rimosse. Dal Comune: non sono nostre
Nell’Italia dei caporali, dai campi alle caserme, si è meno indulgenti. Il comandamento non scritto, cui ispirarsi sempre e comunque, è «tu vatti a me e i’ vatto ‘o ciuccio»: tu picchi me e io percuoto l’asino. Senza temere frizzi e lesinare lazzi. A prescindere. Da tutto: regole, etica e buon senso. Perché «è meglio ‘nu ciuccio vivo ca ‘nu filosofo muorto»; tanto per non abbandonare la stalla. Il pericolo è nella misura: c’è un limite che non va superato, come in autostrada.
Oltre incombe l’imprevisto, spesso sgradevole. Ci si potrebbe imbattere in qualcuno che non si lascia posare la mosca sul naso. Magari solo perché ritiene che non è il caso «di fare di zimmari e capretti una bulletta»; e che ognuno debba agire negli argini delle proprie mansioni, rispettando l’istituzione rappresentata, senza tracimare o macchiarla. Fare ciò che va fatto, non è da tutti: non solo per manifesta inadeguatezza; pure per convenienza e convinzione di farla franca.
La paura dell’altro fa brutti scherzi. Soprattutto nelle piccole comunità. Dove, se scavi, trovi qualcosa che non va anche in canonica. Ma questo non significa che la perpetua debba dormire con l’assillo che i carabinieri bussino alla porta di notte per controllare se il vino in dispensa è adulterato. O che un caposettore comunale debba disporre la rimozione di 7 fioriere da una piazza soltanto perché i carabinieri le ritengono un concreto pericolo per la pubblica incolumità.
7, come gli assessori del comune di Angri, i vizi capitali, la durata del mandato del Presidente della Repubblica, i sacramenti, i nani, le meraviglie del mondo, i giocatori che si contendono la palla in piscina, i mari, le chiese girate da chi cerca invano soddisfazione, anche in politica; 7, come gli spiriti dei gatti. Sette comunissime fioriere, di quelle tanto care ai cani incontinenti; ben curate dai frequentatori della piazza, come le numerose altre che la abbelliscono.
Se in caserma scrivono «concreto», a chi legge, in una buia, umida e insalubre stanza del comune, si gela il sangue, si fermano i neuroni; il malcapitato suda freddo, gli si bagnano le mani. Senza rendersene conto, allontana il foglio come fosse un fazzoletto in cui ha appena starnutito uno che ha il covid. Interroga il crocifisso: «Perché proprio a me»? Fissa la foto di Mattarella; scuote la capa: come il ciuccio che non ne vuol sapere. Teme la deflorazione. Non le fioriere.
Quando un uomo con il compasso incontra un uomo con la pistola quello con il compasso è un uomo morto. Per un pugno di dollari si chiudeva così. O quasi. Di certo c’è chi, per un pugno di euro, il 27 di ogni mese, preferisce un finale diverso. Meno cruento. Superando l’atto di forza con la forza dell’atto. O almeno provandoci. Perché poi il «pericolo concreto» è che l’atto non si regga in piedi. Al punto che non può volare via dalla scrivania e varcare la soglia dell’ufficio.
In un paese normale le fioriere delimitano le aree riservate ai pedoni, i carabinieri corrono dietro agli scippatori e ai topi d’appartamento mentre gli impiegati comunali garantiscono la corretta gestione degli interessi affidati alla maggioranza che amministra la città. In questo scenario, il concreto pericolo non può mancare e si manifesta con le strade navigabili quando piove, i marciapiedi occupati dalle auto in sosta, la pipì dei cani sulle cassette di frutta e verdura.
In un paese diversamente normale, delle fioriere e dell’arredo urbano in generale, ci si preoccupa subito dopo una campagna elettorale, per dimostrare gratitudine e vicinanza. Di solito provvedono imprenditori amici, cui sfugge sempre di segnalare la donazione. Così, accade che panchine, piante, vasi e cestini vari sfuggano all’inventario comunale. Nonostante siano di fatto nella disponibilità esclusiva dell’ente. Non dovrebbe ma funziona così. Consiliatura dopo consiliatura.
I responsabili del patrimonio non riescono a tenere il passo. Tra un’emergenza e una scadenza, il censimento dell’arredo urbano, fioriere incluse, è tra le cose che anche oggi si faranno domani. Se poi ci si mettono pure i carabinieri, la decisione di cavare il dente che duole è bella e presa. Non tanto perché nelle società tribali sono considerati come i carboni, con cui o ti scotti o ti sporchi ma per il vecchio adagio secondo cui con un sì ti impicci e con un no ti spicci.
In fondo, se un carabiniere, peraltro comandante di stazione, ritiene pericolose 7 delle 20 fioriere che arredano piazza don Enrico Smaldone, un motivo ci sarà. Che poi, nel sollecitarne la rimozione, non lo illustri, è un dettaglio su cui non è il caso di intrattenersi. Nessuno ha chiesto di essere risarcito per averci sbattuto il grugno: saranno cose da carabinieri. Troppo complicate per un caposettore: carta canta, per il comune non esistono. Meglio toglierle che censirle.
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