IL TRIBUNALE DI LOCRI ABBATTE IL MODELLO RIACE. MIMMO LUCANO INCIAMPA NELLA LEGGE. SOTTO LO SGUARDO ATTONITO DEI GIUSTI.

 

A Riace qualcosa è andato storto. E a Locri non è che vada tutto per il verso giusto. Mimmo Lucano ha strizzato l’occhio ai migranti e lo ha perso. Da quelle parti era incappato in una disavventura analoga anche Anfiarao: uno dei due bronzi. Rinvenuto in fondo al mare con le chiappe scoperte, fu scovato da Dante all’Inferno tra i fraudolenti. Era un indovino: il primo a quanto si racconta. Di quelli che non inventano ma vedono oggi ciò che accadrà domani e tra qualche giorno.

Anfiarao non era un attaccabrighe. Se ne stava per i fatti suoi, lontano dai guai. Anche perché li prevedeva. Non come gli indovini dei giorni nostri, che rispondono «chi è»? al citofono. Aveva, però, una moglie sensibile al luccichio dei preziosi. Fu così che, annusato l’odore dello zolfo, notoriamente mai foriero di cose buone, pensò bene di darsela a gambe, per evitare di partecipare a un’azione punitiva, in cui sapeva che lui e i suoi amici ci avrebbero lasciato le penne.

Mimmo Lucano non è un attaccabrighe. Se ne stava per i fatti suoi, lontano dai guai. Anche se non li prevedeva. Come altri sindaci; fino a quando non rispondono «chi è»? ai carabinieri al citofono. Ha una moglie sensibile al luccichio delle lacrime dei naufraghi. Così, nauseato dall’odore di guerre e carestie, mai foriero di crociere, ha pensato di rimboccarsi le maniche, allestendo un sistema di accoglienza, senza sapere che lui e i suoi amici ci avrebbero lasciato le penne.

Anfiarao e Lucano non sono due tizi qualsiasi. Hanno amicizie altolocate. Oltre a mogli capaci di farli assurgere agli onori della cronaca, consegnandoli ai poeti. Si erano dati da fare pure prima di conoscerle. Ma se ne erano accorti solo parenti e vicini. Poi si sono aperte le porte: dei nascondigli, delle case, del tribunale e dell’inferno. E i due eroi si sono ritrovati sul banco dei dannati, «perché – come scrisse l’Alighieri per Anfiaraovollero veder troppo davante».

Al Tribunale di Locri ritengono che Mimmo sia andato troppo oltre, ignorando rendiconti, norme e vincoli. A sinistra confidano in un errore dei magistrati. E si mostrano costernati. A destra esultano di nascosto; tranne Salvini, nonostante abbiano beccato un amico, tra lenzuola impolverate, con due stranieri. Pare poco ma non lo è: un conto è la porta di casa, altro quella della camera da letto. Lanterna verde non ha gradito la declinazione ferroviaria del prima gli italiani.

Sulle disgrazie altrui c’è poco da ridere; e a chi esagera bisogna comunque porre un limite. Mimmo Lucano ha mostrato i muscoli e le ha prese. Di santa ragione: non una strigliata. Anche se non ha rubato. Gliele hanno suonate di brutto. Come a pochi prima di lui. E forse anche dopo. Una fesseria oggi, una cretinata ieri, una sciocchezza l’altra settimana, una disattenzione il mese scorso e il gioco è fatto. Purtroppo. Ne sa qualcosa Fabrizio Corona: ancora non se ne capacita.

La moglie di Anfiarao lo consegnò alla spedizione contro Tebe, rivelandone il nascondiglio segreto in cambio della collana dell’eterna giovinezza, nonostante sapesse della previsione – dello stesso Anfiarao – che sarebbe andato tutto a puttane e i tebani avrebbero avuto la meglio, massacrando gli invasori, compreso il marito, posto a capo delle truppe incaricate di attaccare una delle sette porte della città. L’indovino si arrese all’avida consorte infedele e al fato crudele.

A Riace non si capisce cosa abbia fermato gli amici di Mimmo Lucano dall’invitarlo a non forzare la mano nella sfida allo Stato. Intellettuali e politici si sono compiaciuti per il tipo di accoglienza, senza interrogarsi. Non hanno speso una parola per metterlo in guardia. Il popolo che fa, conta e pensa non gli ha detto di pensare e contare prima di fare. E ora balbetta, imbarazzato e perplesso. Dichiarando che “le sentenze si rispettano”, mentre pensa “che hanno combinato”?

Gli odiatori da tastiera si leccano i baffi. Quelli di sinistra si deliziano con i giudici: lo hanno condannato a una pena superiore ai 7 e rotti anni richiesti dalla Procura. Quelli di destra, con il pubblico ministero: lo stesso che osannavano per il coraggio e gli attributi mostrati durante la requisitoria, rivelatisi poca cosa rispetto ai 13 e passa anni decisi dal collegio. Intanto, la credibilità delle istituzioni – magistratura compresa – barcolla. Di nuovo. Purtroppo.

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