ANGRI 1970 – 2020. DA UN ANTONIO ALL’ALTRO…

 Il volo interrotto di una comunità che solcando il cielo si è bruciata le ali

La campagna elettorale volge al termine, consegnandoci un primato: è la prima a non registrare il contributo della stampa e delle associazioni. Un dato inquietante per il feudo dell’emittenza televisiva e radiofonica. Le antenne private sono nate ad Angri, grazie all’intuizione e all’estro creativo di don Antonio Grassini (TRGA) e della famiglia Allegro (TeleAntares). Si sono radicate e moltiplicate con Tele Angri 1, Antenna 3 e le radio: Arcobaleno, Estasi Angri, Orion 2000.

Francesco Fasolino e Vincenzo Vaccaro, negli anni settanta, hanno testimoniato il valore del giornalismo angrese, dai monti Lattari ai Picentini. TRGA aveva due posti riservati nel parcheggio del Tribunale di Salerno: era un’istituzione. La voce di Giulio Sacrestano ha tenuto insieme un’intera comunità, rappresentandola anche in consiglio comunale. Le dediche dell’Arcobaleno erano un rito domenicale, come la messa, la visita al cimitero, lo struscio e il “cartoccio” di paste.

Il Gruppo Insieme, il Centro Iniziative Culturali, il Centro Arcobaleno, il Centro Zero, gli scout di don Luigi La Mura, i ragazzi di don Alfonso Raiola – oggi attempati pensionati ancora alle prese con l’incertezze di allora – sono stati profeti di uno stile di vita modellato dalle preoccupazioni per l’altro. La lotta alle dipendenze, l’editoria, l’inclusione sociale, l’arte, la riflessione, le lacerazioni della persona, mai personali, hanno segnato territorio e generazioni.

Siamo stati uno scrigno di energie, buoni propositi e visioni. Una comunità invidiata, di cui tutti si sentivano parte; una cittadina indicata, nei paesi vicini, come esempio di buona amministrazione. Non per caso. Erano gli anni di Giovanni Alfano, Leopoldo Gassani, Giovanni Iovino, Giuseppe Amarante: tracciarne il profilo, immaginando di onorarlo con compiutezza, sarebbe da stolti. Lo spessore umano, professionale e politico di ciascuno di loro è, ancora, monito ed esempio.

Ci siamo illusi: convinti che le virtù si trasmettessero dall’uno all’altro come il raffreddore, abbiamo immaginato di essere adeguati, di poterli sostituire, addirittura facendo meglio. Così è iniziato un lento e inesorabile declino. Qualcuno ha tentato di arginare la frana: Peppe Mascolo, con PomoDoria alla fine degli anni ottanta, Gerardo Tedesco e i cronisti di Antenna 3, i volontari della “Noi e Voi” negli anni novanta, Gianluigi Esposito con Avanteatro, qualche anno fa.

Gli sforzi sono stati vani. Superato il fondo, stiamo scavando. Abbiamo smesso di apprendere, preferiamo scrivere e leggerci; non riflettiamo più: “ci” pensiamo; non guardiamo all’altro, lo consideriamo un ostacolo ai nostri successi, programmati; inseguiamo la notizia del giorno e cancelliamo la memoria; esibiamo gli stendardi delle associazioni e non alimentiamo alcun dibattito culturale, imponendo l’io e calpestando il noi, temendo l’inclusione e scegliendo l’arruolamento.

Non c’era consiglio comunale che non vedesse la presenza dei cronisti locali: Emilio Vanacore, Antonio Lombardi e Amedeo Santaniello ci hanno consegnato pagine di storia amministrativa e politica, senza mai scivolare nell’inciucio, con una proprietà di linguaggio cui abbiamo attinto in tanti. Senza dimenticare le lezioni del professore Bernardo Spera: la sua impostazione vocale e l’eleganza dell’esposizione. Giganti, che con sacrificio e passione si sono dedicati al prossimo.

Ci siamo imbruttiti, dentro e fuori, nei gesti e nelle parole. Schiviamo gli sguardi e procediamo a testa bassa. Abbiamo sacrificato la narrazione sull’altare della celebrazione. Da un bel po’. Tanto da rimuovere la fine drammatica dell’amministrazione Mazzola, per non sentirci in colpa e preoccuparci. I politici si inseguono per insultarsi. Le associazioni non si interrogano: il silenzio di quelle che si occupano della lotta alla criminalità è assordante e pure imbarazzante.

I giornalisti alimentano polemiche sterili. Leoni da tastiera hanno occupato, inaridendolo, il dibattito elettorale, seminando odio e alimentando tensioni sociali. La politica fatica a imporsi. L’approssimazione con cui si è manifestata nel corso degli anni ne ha compromesso la credibilità. Ci si confronta citando le famiglie, non i partiti. Si punta l’indice contro ma non si sente una parola sulle annunciate privatizzazioni ed i rischi connessi alla provenienza dei capitali.

È tempo di rimboccarci le maniche, insieme. Se le tinte non fossero state così fosche, non sarei sceso in campo. Se non avessi partecipato in prima persona, mi sarei sentito un codardo. La scelta del candidato sindaco non è stata casuale. Ripeto in giro che è l’iniezione non gradita per fermare la malattia e i suoi sintomi, anche quelli che non si sono ancora manifestati. Non c’è un uomo che desidera essere sindaco; ci sono una comunità ed un paese cui necessita quel profilo.

L’altro candidato non è il male oscuro di questa città. È circondato anche da persone perbene. Penso ad Amedeo Sorrentino e Rosario Cascone, cui mi lega una profonda e sincera amicizia: uomini e professionisti dai trascorsi cristallini. A loro – e al gruppo che hanno allestito – fa compagnia Antonio Mainardi, che ho visto crescere politicamente e a cui, sorridendo, attribuisco la malizia di indicare il nome del padre alla voce detto sulla lista elettorale. Ci può stare. Poco.

Temo ciò che avverto ma non vedo. Gli autori degli attacchi informatici; i falsi profili facebook; coloro che si esercitano rovistando nella vita degli altri per delegittimarne l’azione politica; gli imprenditori che si organizzano per garantirsi una rappresentanza consiliare, alla vigilia di privatizzazioni cui potrebbero essere interessati, fino ad auspicarle e suggerirle; il modello “Scafati”, emerso dalla cronaca giudiziaria; l’incapacità di resistere alle sollecitazioni.

Ho paura di ciò di cui non si parla per ignoranza o timore. Di cosa siamo diventati. Non sono tranquillo, perché non ho capito cosa ha indotto un astro nascente della politica locale a un gesto estremo. Perché non si scrive della proprietà delle MCM con la frequenza che merita. Perché non è chiaro il futuro dell’area mercatale, del cimitero e della Angriecoservizi. Non temo l’altro candidato, ma l’ombra lunga che potrebbe sovrastarlo, calando il buio su una città alla deriva.

All’oscurità ci si prepara. Comunque vada, lunedì, avremo un sindaco. Chiunque sia dei due, non lasciamolo solo e auguriamoci che l’altro recuperi la serenità per partecipare da protagonista alla pacificazione sociale: condizione necessaria a mettere insieme una comunità dilaniata, incapace di arginare possibili contaminazioni, non solo culturali e gestionali, che, con le esternalizzazioni, potrebbero ridurci, in casa nostra, a inquilini indesiderati, da spremere come agrumi.

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