Angri. LA POLITICA ARRETRA DI FRONTE ALLA CRIMINALITÀ, PREFERENDO, ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI, INCIUCI E CALUNNIE ANONIME

Tre colpi di pistola rivendicano attenzione, analisi, riflessione e azioni. Più della comunicazione del numero dei guariti a due mesi dal contagio. Soprattutto ad Angri. Quella che da bambini descrivevamo come «ridente cittadina ai piedi dei Monti Lattari» rischia di diventare, di nuovo, uno scenario di guerra. Come accadde negli anni in cui le strade erano insanguinate dalla camorra. Attentati, agguati, inseguimenti e sparatorie già sono scritti nella storia di questa città.

Se il sindaco annuncia una diretta video il giorno dopo il ferimento di un imprenditore, è ragionevole attendersi un grido d’allarme, un appello alle forze dell’ordine, la richiesta di convocazione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica: una levata di scudi per manifestare la opportuna preoccupazione e offrire la percezione che si è compresa la gravità dell’episodio. Non ti aspetti che si intrattenga solo sul saldo invariato dei positivi e l’ubicazione del mercato.

Angri è una realtà complessa. Capace di rendere remunerativa, per i donatori, la raccolta fondi in occasione dei festeggiamenti in onore del Santo Patrono. In pratica, si elevava a beneficenza ricompensata, istituzionalizzandola, ciò che altrove si sarebbe chiamata volgarmente usura: un’intuizione unica e geniale. Degna di una tradizione cittadina che vanta personaggi di riconosciuta e indiscussa inventiva, mai banali, promotori di iniziative ritenute da tutti avveniristiche.

Scorrendo l’albo dei camorristi ci si imbatte nel capo del clan: Tempesta. Un riferimento che evoca le forze della natura, incontrollabili eppur purificatrici e rigeneranti; temute, magari devastanti ma comunque in grado di garantire l’ordine naturale delle cose in un susseguirsi di eventi cui non ci si può sottrarre. Nel cui nome, mai pronunciato benché lasciato intendere, molti imprenditori compaesani hanno moltiplicato le proprie fortune, adoperandolo come un passepartout.

Un territorio di transito a metà strada tra la valle dell’Irno e l’agro vesuviano, sul cui asse si sono consumati diversi episodi di almeno una guerra di camorra: ricco di occasioni da cogliere al volo, ambite da gruppi criminali che possono disporre di capitali ingenti in attesa di essere riciclati. La riqualificazione delle MCM, le privatizzazioni, ad esempio dell’area mercatale e del cimitero, sono un bottino da accaparrarsi. E i pretendenti malintenzionati non si contano.

Ignorare l’emergenza criminalità non contribuisce a cancellarla. Non parlare di tre colpi di pistola e una bomba non rasserena l’ambiente. Confondere il sibilo delle pallottole e il fragore dell’esplosione con schiamazzi condominiali non tranquillizza chi si muove in città. Corso Vittorio Emanuele è la sola via di accesso pedonale alla Nazionale, quartiere abitato da oltre cinquemila persone, tra cui adolescenti che, a tarda sera, rincasano o raggiungono le auto dei genitori.

Il cavalcavia di via Delle Fontane registra, tra l’altro, il transito di quanti si recano a Pompei e coloro che preferiscono la 268. Un agguato armi in pugno, con eventuale tamponamento, magari a catena, su un ponte, è una criticità che non tutti gli automobilisti di passaggio riescono a gestire. Il rischio del coinvolgimento è elevatissimo, con tutte le conseguenze che ne possono derivare: i proiettili vaganti, a differenza dei petali di rosa, possono risultare anche letali.

Il sindaco non può tacere. C’è un problema da gestire e va oltre le condizioni di salute del ferito e le cause dell’aggressione. Occorre mettere in sicurezza la città. Pretendere un maggiore controllo del territorio. L’attentato è stato eseguito con modalità camorristiche. Che poi sia stata la camorra è da verificare. Ma lo stile è quello. E deve preoccupare. Non c’è più tempo per selfie e soliloqui. Come dopo il terremoto. Allora fu chiesto anche un commissariato di polizia.

I politici locali sono sempre stati prudenti, preferendo il necessario al superfluo. Conclusa l’emergenza scelsero di non urtare la sensibilità dei carabinieri mettendogli la concorrenza in casa. Isaia Sales, invece, negli anni novanta, concludendo una campagna elettorale comunale, esagerò: dal palco in piazza Doria puntò l’indice contro chi si proponeva come alternativo al candidato sindaco che sosteneva lui. Quel dito fece più danni di una pistola, squarciando una comunità.

Un gruppo di persone perbene e stimati professionisti, in piedi nei pressi del Monumento ai Caduti, furono indicati come camorristi, quella mattina e dalle urne. La città si divise in due fazioni, tirando fuori il peggio di sé, in un gioco al massacro che continua ancora oggi nelle parole di chi non ha argomenti politici e amministrativi; e pur di affermarsi non tiene a freno la lingua, screditando quanti ritenuti in grado di sottrargli il posto, conquistato a suon di offese.

L’episodio che ha coinvolto suo malgrado il giovane imprenditore offre l’opportunità di confrontarsi, a prescindere dalla vicenda e dai trascorsi personali della vittima, che peraltro non destano alcuna curiosità, sull’opportunità di riappropriarsi della città, preservandone la sicurezza e assicurando il monitoraggio costante di tutto ciò che è oggetto di interesse della criminalità organizzata, sui cui libri paga potrebbero finire amministratori locali e funzionari pubblici.

Senza demonizzare alcuno ed evitando di gettare fango dai balconi non si può non riconoscere che dalle accuse di Sales ad oggi la qualità dei consiglieri comunali è precipitata, andando ben oltre lo zero; così come quella dei cronisti e opinionisti. La candidatura, se va male, rappresenta un credito da riscuotere dopo le elezioni: di importo variabile, ancorato al numero dei voti; se va bene e consente l’accesso al comune, la chiave per aprire la cassaforte delle opportunità.

Questa amministrazione ha coperto con il passamontagna del contagio le proprie cicatrici. Ma non potrà indossarlo in campagna elettorale a meno che non intenda estorcere il voto. Cosa che non è nella natura del sindaco. Ciò nonostante, il primo cittadino deve cambiare registro se è vero che in tre anni sono stati sottratti, da mani leste e ancora sconosciute, circa sessantamila euro dai cassetti del comune: soldi che dovevano essere riscossi mediante bollettini postali e Pos.

L’emergenza criminalità esiste. C’era ancor prima della bomba e della pistola fumante. I rappresentanti delle forze dell’ordine, a differenza di chi li ha preceduti, non conoscono il territorio e spesso ne ignorano le insidie. L’amministrazione, invece, pur consapevole, si è data altre priorità. Il blocco della mobilità ha tenuto lontani accattoni e truffatori. Anche topi d’appartamento. Quindi, volendo, si può fare meglio. Ricordandoci chi siamo e scegliendo la destinazione.

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