Angri. Paolo VI nel 1976 esortò alla sobrietà nelle celebrazioni del culto mariano. L'Espresso Sud fece luce sulle feste patronali nell'agro nocerino. E divampò la polemica. Dentro e fuori la Chiesa. Anche di San Giovanni

Gli angresi non faranno la festa a San Giovanni. A differenza di Erode, che non ci pensò due volte. Quindi, niente bancarelle, fuochi, bande e struscio. A causa della pandemia. Nella seconda metà degli anni settanta, il periodico Espresso Sud si occupò delle manifestazioni patronali nell’agro nocerino. Scatenando l’inferno. Come Paolo VI: per recuperare il corretto esercizio del culto mariano, citò i riti scaramantici celebrati nei festeggiamenti per la Madonna delle Galline.

A Pagani non la presero bene: ignorarono l’esortazione papale alla correzione. Ad Angri non andò meglio. Anzi. Anche se la riflessione di Sua Santità fu elaborata e condivisa da alcuni. Tra questi c’era un giovane prete, don Luigi La Mura, classe 1943, ordinato sacerdote il 6 luglio del 1969. La condanna di Paolo VI, del novembre 1976, cadde nel vuoto. Come l’invito alla sobrietà di don Luigi. Il Papa ci andò giù pesante, segnalando «punte di vera superstizione e paganesimo».

Il dossier giornalistico fu curato dal nocerino Vittorio Giacobello, classe 1955: una penna che si sarebbe rivelata raffinata, alla prima esperienza con la carta stampata e un fiuto per le notizie maturato in radio ai microfoni di RDA. Il giovane cronista sbancò, imponendosi sulla scena comprensoriale. Tant’è che approdò prima al “Roma” e poi a “La Voce della Campania”, con apparizioni sugli schermi di RTA. Di quelle pagine riproponiamo i brani su Sant’Alfonso e San Giovanni.

L’inchiesta, con dovizia di particolari, faceva il punto anche sui festeggiamenti in onore del patrono di Nocera Inferiore, San Prisco ed era impreziosita da un intervento di don Luigi La Mura, dal titolo “Soliloquio di un sacerdote. Se il Vescovo non sente non resta che…”. Il prete si rivolse direttamente a San Giovanni. Ma fece la festa alla curia diocesana. Come aveva fatto l’anno prima. Con l’eloquio che lo avrebbe reso celebre; tanto da meritare ora una pagina esclusiva.

I SANTI MILIONARI
Come funzionano le feste patronali nell'Agro? Chi le finanzia? Vediamo

(…) PER S. ALFONSO A PAGANI il discorso è diverso – ndr rispetto alla festa di San Prisco, considerata di tono minore. Questa festa ha una coreografia più in grande stile. Vengono illuminate le principali vie di Pagani; in tre giorni di festeggiamenti suonano una banda, un’orchestra sinfonica, un complesso, cantanti e si effettuano spettacoli pirotecnici. Il tutto per una spesa sui 18-19 milioni (di lire).

I fondi sono costituiti da offerte di industrie, privati e un finanziamento del Comune. In media si spendono 2 milioni per l’energia elettrica, 1 milione e mezzo per ciascuna banda, il resto va suddiviso tra spese di impianti, fuochi d’artificio, i complessi e la Siae.

Tranne un breve giro per le vie della città di un quadro raffigurante il santo, per ricordare l’avvenimento, nessuna processione.

La ricorrenza viene festeggiata nella chiesa di S. Alfonso, dove i padri redentoristi promuovono una serie di manifestazioni puramente spirituali: novene, preghiere e messe. «Quest’anno – afferma il superiore dei redentoristi – curerà la novena un professore redentorista di Roma ed interverrà, in una delle messe celebrative, il Cardinale Ciappi».

A Pagani si spende all’incirca il doppio di Nocera per festeggiare il patrono; è giusto il dispendio di tanti soldi, quando questo denaro potrebbe essere investito in opere di maggiore utilità?

Risponde il sindaco, prof. Mario Ferrante, che è anche il presidente del comitato per i festeggiamenti: «Personalmente ritengo che si potrebbe anche evitare tanto spreco, ma è il popolo a volerlo. La gente, ad esempio, si è lamentata perché l’anno scorso la festa ha avuto un tono minore. Certo non parlerei mai per un’eliminazione totale della festa, perché oltre ad una chiara funzione sociale è un’occasione di commercio di primaria importanza, ma volesse il cielo se si potessero limitare le spese; sarei il primo a farlo».

AD ANGRI i festeggiamenti comprendono: l’illuminazione a giorno di quasi tutte le strade, una gran serie di fuochi d’artificio, manifestazioni canore con cantanti di successo, esecuzioni di melodrammi con bande sinfoniche, sfilate, processioni accompagnate dalla banda, che durano l’intero arco di due giorni e quasi due notti per la raccolta di fondi, oltre altre manifestazioni collaterali.

I soldi per questa festa, così in grande stile, vengono racimolati da un comitato fisso per i festeggiamenti.

La questua viene effettuata nell’arco di tutto l’anno, di casa in casa, in maniera particolare: si raccolgono, settimanalmente o mensilmente, dalle famiglie ben disposte, piccole somme. Queste vengono depositate in banca su un conto comune; alla fine dell’anno si restituiscono alle rispettive famiglie gli importi versati, incamerando gli interessi maturati sulla somma globale. A questo denaro viene aggiunto quello che ciascuna famiglia offre volontariamente.

 I guai cominciano, però, quando cerchiamo di fare i conti in tasca al comitato.

Considerando che per tutte le manifestazioni si spendono forse più di 70 milioni (non possiamo essere più precisi per l’omertà del comitato) e che dagli interessi più la questua non si possono ricavare più di 20-30 milioni, come viene coperto il disavanzo?

Semplice: con i soldi raccolti durante le umilianti “sfilate” del santo, sopra un camioncino con la banda annessa. Non è una constatazione solo nostra; lo è anche di alcuni sacerdoti che l’anno scorso chiamarono «maratona economica» le processioni cui la statua del santo, seguita dai botti di batterie di fuochi d’artificio, è sottoposto per tre giorni, dalle sette del mattino sino a notte inoltrata.

Riti che sanno troppo spesso di paganesimo, se si pensa, ad esempio, che i contadini, spinti da superstizioni più che dalla fede, vedendo arrivare la statua, tanto più offrono quanto più forte sentono il fragore provocato dai botti e dalla banda.

Naturalmente la colpa di tutto questo non è da attribuire solo al comitato, ma va addossata anche al Vescovo, che permette tutto questo, anzi lo approva recandosi addirittura a celebrare una messa nei campi durante la festa.

Per concludere il discorso globale, una considerazione: la festa di S. Giovanni ha consumato 900 Kw/ora, quando un’industria conserviera di media grandezza ne consuma intorno ai 700; forse la gente è troppo cieca per aver bisogno di tanta luce.

Vittorio Giacobello

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